Wednesday, May 04, 2005

Diario Uk: 12 e 13 Aprile

Venerdì 8 Aprile, Londra

9, 10, 11 Aprile, Devon

Per la traversata da Exeter a Liverpool, mi servo dell'autobus: sul sito della National Express trovo un'offerta (naturalmente, prenotando con anticipo di 2 settimane) a sole 10 sterline. Il treno, pur impiegando 4 anziché 8 ore, costa il quadruplo. Scoprirò poi il perché. Dei pullman e relativo servizio mi colpisce la puntualità e la meticolosità nel check-in e nella sistemazione dei bagagli. Il viaggio, nella prima parte - fino a Birmingham - procede tranquillo. Approfitto dei 40 minuti di sosta a Bristol per farmi un paio di sandwich. A Birmingham, verso ora di pranzo, mi prendo una zuppa di verdure. E' interessante come si riesca a mangiare piuttosto sano e con poca spesa (ve lo sareste mai immaginato in UK?) in tutti i centri cittadini e le stazioni di treni e bus toccate. In Italia, per esperienza, ciò non è più possibile da anni: stiamo adottando la cultura non già del fast-food, che quello c'è sempre stato (le saraghine a scotadeti, più fast di quelle!), ma del trash food, cioè la merda a costo alto. Alzi la mano chi ancora riesce a a mangiare bene in una qualsiasi stazione d'Italia. Ovvio, poi c'è sempre l'eccezione: da Gino, di fronte alla stazione di Ancona, stoccafisso all'anconetana da urlo, a prezzo ridicolo. Ma è di fronte, non dentro, e se uno volesse solo un panino, è impossibile trovarlo.

La seconda parte del viaggio, da Birmingham a Liverpool, è un incubo: a Stoke-on-Trent, a causa di un non meglio precisato intoppo, ci troviamo in un traffi-jam da brivido. Morale: 3 ore per percorrere venti chilometri, e arrivo a Liverpool con due ore di ritardo. Fosse accaduto in Italia, giù tutti a vomitare insulti sul sistema, sul Governo (qualunque colore) e sugli italiani (se passeggeri nord-europei). Qui, la calma regna sovrana: forse è il prezzo da pagare, oltre ai 10 puond...

Intanto, il mio povero amico Hanno, uno dei pochi ancora senza cellulare (superstite!), si fa due ore di noia (e per fortuna, anche di spesa al supermercato!). Un taxi - sono molti, economici e si chiamano con un semplice cenno della mano, dovunque siano - e via verso casa per cena. La sensazione, all'arrivo, è di una città in decadenza. Un'aria strana aleggia nei quartieri, un misto tra il popolare "livornese" (e Livorno - non a caso - ha molto in comune con Liverpool) ed il grigio, come da uno show appena terminato. La gente, tuttavia, sembra non curarsene, ed è vivace e allegra ("Hey Mate!", ci saluta il tassista): sembra di stare a Livorno, ma Livorno è più bella.

C'è veramente poco da vedere a Liverpool, specie se non si è appassionati di musica o calcio. Nei quali casi il Beatles Museum e lo stadio di Anfield Road possono essere meta di profani (quanto opinabili) pellegrinaggi. Ciò che vale la pena vedere - oltre alla nightlife, sorprendentemente intensa in una città apparentemente grigia ed in declino - è senza dubbio l'Albert Dock, antico molo del porto, meno di un secolo fa trafficatissimo da merci ed emigranti. La pace ed il silenzio che regnano ora sono irreali, ma accompagnano egregiamente il pullulare di musei e localini "in". Il Maritime Museum (gratuito) merita: cinque piani di ricostruzioni di vita cittadina, bellica, sociale e storica del porto e della navigazione in generale. Come sempre, in un museo benfatto, alla fine si è imparato qualcosa. Skippo - volutamente - il Beatles Museum, al quale non intendo lasciare 9 pounds (anche perché non è che impazzisca per i Fab Four), così come non mi reco ad Anfield Road, tanto più che i "Red Necks" la sera stessa manderanno a casa (e con merito) la mia Juventus. Vinco la tentazione di scommettere - e passando davanti alla William Hill, è dura! - e la sera mi gusto, si fa per dire, la gioia dei "Liverpolders", che ora "la faranno vedere anche al Chelsea!" (NDA: avevano ragione!)

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